Dialoghi sul paesaggio vesuviano

di Claudio Rodolfo Salerno

Si dice che da lontano e ancor più dall’alto le cose si guardano da una prospettiva migliore, che lo sguardo riesce a comprendere nel suo spazio visivo la realtà che osserva in misura, ovviamente, più grande e con maggior nitidezza. E allora se davvero vogliamo osservare il volto del posto in cui viviamo, dobbiamo salire, meglio se lo facciamo a piedi, sul pianoro che sovrasta le nostre case e le nostre piazze con le loro strade e i vicoli, grandi e piccoli, e osservare il golfo e la piana che è sotto di noi dall’alto di quel Castello di Lettere, abbattuto dal tempo e dagli uomini e che oggi candida le sue pietre a raccontare storie, attraverso progetti di restauro e di allestimenti museali. E poi dobbiamo scendere, di nuovo a piedi, e osservare la resistenza opposta alle mazzate date dal Vesuvio quel lontano 79 d.C. dalla villa rustica in via Casa Salese, che a tutti piace chiamare Villa Cuomo, in memoria di quel Carlo Cuomo che con singolare senso civico, sull’esempio degli antichi evergeti, pecunia sua restituì ai cittadini di Sant’Antonio Abate una prova tangibile delle meraviglie della loro terra, ma anche l’immagine di un’orgogliosa resistenza del passato all’incuria insipiente degli uomini di oggi.
Ma se non siamo soddisfatti, se non siamo sazi di un paesaggio che conserva e mostra, al tempo stesso fiero e vinto, ferite e meraviglie, se vogliamo cercarne l’anima, le ragioni e i percorsi che l’hanno fatto nel tempo così qual è, dobbiamo scendere al di sotto di strade e palazzi, sotto le piazze e gli alti edifici, nel cuore stesso della terra che conserva le tracce delle scelte che secolo dopo secolo le genti, che hanno abitato la nostra terra,
hanno fatto per adattarsi all’ambiente circostante, con i suoi tesori e le sue catastrofi, e per piegare alle proprie esigenze questo stesso ambiente. Ecco perché la mostra Dialoghi sul Paesaggio Vesuviano sceglie quale sfondo i muri in opus reticulatum di un’antica villa rustica romana, sorta ai margini di una strada un tempo brulicante di carri di mercanti e affollata dal frastuono dei viandanti, chi verso Nuceria chi verso Stabiae, e oggi sottoposta alla Chiesa della Congrega dell’Immacolata, non come rovina ma come fondazione solida per la sua pregnanza di quel passato classico su cui il nuovo mondo cristiano andò a poggiarsi per elevarsi il più possibile verso l’alto. La mostra porta il racconto nel cuore stesso di un luogo che è racconto per sua natura, fa ricorso a simboli e segni là dove ogni pietra veicola un significato, ogni luce crea un’ombra e ogni spazio nella sua angustia introduce a infiniti mondi.
Dialoghi sul Paesaggio Vesuviano ci invita a scendere per le scale, a piedi, nella terra in cui abbiamo piantato le radici di quello che siamo e dopo averlo fatto ci spinge a risalire alla luce per riprendere il dialogo con lo spazio intorno a noi, più consapevoli e responsabili della nostra identità, degli effetti delle nostre scelte nel vivere il nostro essere individui, il nostro essere membri di una collettività, il nostro essere ospiti e custodi dei luoghi che occupiamo e che dovremo consegnare alle generazioni future.